(23/09/2021)
La “Casa del S. Cuore di Gesù” in Sant’Agata di Puglia


di Dora Donofrio Del Vecchio

 Sabato 30 novembre 1918, alle ore sette del mattino Vito Zenga fu Gregorio diede la prima picconata sul terreno confinante con le case di Marciello e Fratello Lorenzo e con la sacrestia della chiesa parrocchiale di S. Angelo. Detto terreno si trovava sulle Coste della Terra, sotto la chiesa di S. Andrea, sul viottolo che da via Spinelle portava alla chiesetta di S. Rocco. Partiva così la costruzione della “Casa del S. Cuore di Gesù” in Sant’Agata di Puglia. Il fondatore dell’opera fu il parroco della parrocchia di S. Angelo, mons. Donato Pagano. Redasse il progetto Beniamino Nàtola, un grande ed affermato architetto e scultore di Foggia.Quando partirono i lavori Sant’Agata contava circa 6500 abitanti. Si era conclusa la Grande Guerra. L’Italia ne usciva vittoriosa ma grave era lo stato di miseria in cui versavano gli Italiani. Al problema degli anziani soli ed abbandonati a Sant’Agata si univa quello delle vedove di guerra e di donne rimaste senza marito perché emigrato, quello degli orfani, dei ragazzi di famiglie povere o lasciati sulla strada dai genitori occupati nei lavori dei campi. Furono queste le ragioni principali che spinsero mons. Pagano ad erigere una “Casa” con finalità caritatevoli ed educative insieme. Essa sorgeva in un momento in cui a Sant’Agata infieriva l’epidemia della Spagnola che mieté vittime e seminò lutti in tutte le famiglie.Con Vito Zenga il 30 novembre erano sul cantiere i muratori Iacullo Mosè, Iacullo Aronne, Gennaro e Gerardo; Marchitelli Leonardo, Inneo Michele, Lotito Alfonso, Fredella Donato, Fredella Carmelino. In tutto dieci. A Iacullo Mosè e Gennaro, a Vito Zenga, a Marchitelli Leonardo, a Fredella Donato lire 6,00 giornaliere; agli altri da lire 1,80 a lire 0,90. L’indomani, domenica 1° dicembre, la squadra s’infoltì: si aggiunsero Fredella Luigi e Lorenzo, Russo Raffaele, Zocchi Pasquale, Paone Francesco, De Mastro Filippo, Danza Francesco Paolo fu Nicola. Lavorarono tutti senza chiedere un centesimo. Nei giorni e mesi successivi si aggiunsero moltissimi altri. Tutti sostennero volentieri fatiche e sacrifici. Sfidarono intemperie e calura rimanendo sul posto di lavoro “da sole a sole” con una magra colazione per interrompere la dura giornata. I lavori si conclusero il  13 febbraio del 1926.L’Amministrazione comunale di Sant’Agata di Puglia concesse gratuitamente il suolo edificatorio di mt. 50x50. L’area era di mq. complessivi 2946, che a lire 0,16 il mq. sarebbe costata lire 471,36. L’8 maggio 1919 si collocò la prima pietra dell’edificio, l’8 maggio 1923 si benedissero i primi locali, l’8 maggio 1924 si benedissero le istituzioni che da quel giorno iniziarono a funzionare: asilo d’infanzia, laboratorio femminile di ricamo, orfanotrofio femminile, asilo di mendicità e ricovero per anziani ed anziane, ospedale civile. A completamento si aggiunse il teatro, nel 1927 il periodico “Raggi di carità”, nel 1934 la tipografia. Diedero il loro contributo economico il Comune di Sant’Agata, la Provincia e il Governo ed altre istituzioni; la Congrega di carità e le confraternite di Sant’Agata, i santagatesi emigrati, molti Comuni italiani, moltissimi anonimi benefattori. 1700 famiglie santagatesi si sottoscrissero per offrire lire 100 in cinque rate in cinque anni. Chi non aveva disponibilità economica offriva il contributo di giornate di lavoro o prodotti della terra, olio, vino e grano. La spesa complessiva preventivata per la costruzione era di lire 200.000 circa, ma se ne spesero oltre 300.000.La “Casa” ha dato lavoro a tanti operai, a commercianti, artigiani, barbieri, sarti, negozianti di generi alimentari, falegnami, contadini, potatori, pastori, tipografi, ad addetti ai servizi ed all’assistenza. Diede lavoro a coloro che tornarono dalla guerra, ai muratori, a chi vendeva materiale per l’edilizia, a chi produceva embrici e mattoni, a chi trasportava con asini e muli, a facchini, fabbri, idraulici, elettricisti, pittori, scalpellini, scavatori di pietre e arena. Lavorarono uomini, donne, profughi, giovanissimi, ragazzi.Tra i fabbri furono impiegati Anzano Domenico, Castello Michele (costui fece le ringhiere dei balconi). Anzano Leonardo fu Francesco, Anzano Leonardo fu Vito ed Anzano Francesco di Leonardo realizzarono le ringhiere del loggiato interno; Anzano Michele di Leonardo quella del cortile. Lavorarono come trasportatori Michele, Angelo, Rocco Perrone, Lotito Raffaele, Contillo Pasquale, Di Virgilio Paolo, Vivolo Andrea. L’impianto elettrico fu realizzato da Malamisura Michele. Installarono il contatore i Fratelli Fredella. Si compravano attrezzi come “caldarelle” e secchi da Anzano Vito, barili da Fierro Angelo, canali di zinco da Ciaglia Giovanni di Giuseppe, ferro e serrature da Anzano Francesco, il basto per l’asina da Santoro Salvatore, pennelli da Chiucchiolo Angelo, calce da Clemente Nicola fu Salvatore, pietre da Paone Saverio e Telesca Vito, embrici da Paolo Russo, da Fredella Francesco fu Nicola, da Lavilla Fedele; gesso da Perrone Pasquale, da Lancillotto Leonardo, da Perrone Michele. Fornivano il cemento Marchitelli Giovanni, De Vito Antonio, De Bellis Antonio, Palazzo Giuseppe, Zanzonico Nicola, Iacullo Mosè, la ditta Barbato, Perrone Pasquale; mattoni ed embrici Clemente Nicola e Giovanni Cirillo, che avevano le fornaci. Trasportarono materiale, dalle pietre all’acqua all’arena, gli asini di Schiavone, Colotti, Mongiello, Laudisi Antonetta, Morese Nicola, Mancini Lucia, i carri ed i traini di Contillo Pasquale e Iacullo Michele. Con i camions di Barbato si trasportava arena (un camion corrispondeva a otto traini, e tre viaggi costavano lire 1000). Gemma Rosa fornì arena fino al completamento dei lavori; Clemente Nicola fu Antonio fornì i mattoni; l’asino di Laudisi Antonetta trasportò tonnellate di arena e migliaia di barili d’acqua. Il trasporto avveniva anche a spalla d’uomo. Nei viaggi con gli asini erano impegnate soprattutto le donne: oltre alla citata Laudisi Antonetta, lavorarono Clemente Agata, Marnio Pompea, la figlia di Seppa di Nasca, la figlia Loreta, Desibio Antonia, Mancini Lucietta, De Angelis Rosaria, Lavilla Giuseppe, Caione Filomena.L’edificio, di tre piani, completato, contava 46 vani, di cui quattro di metri 10x5 e due di metri 12x5½, era di metri cubi 6974. Il muro frontale era di metri cinquanta ed aveva lo spessore di un metro e venti centimetri. Costituivano il piano terreno, a destra (di chi guarda l’edificio) la cucina, il refettorio suore, le dispense, l’ingresso e il reparto anziani, il guardaroba, il dormitorio, la scala d’accesso al terrazzo ed al primo piano. A sinistra erano la tipografia, la segreteria della “Casa” e della tipografia, il box-auto.Dal portone principale una scalinata portava al primo piano ed immetteva in un ampio cortile. A destra erano la presidenza, un ampio terrazzo, il corridoio che porta alla chiesa di S. Angelo, un’aula dell’asilo, la sala del teatro, la riserva idrica e lavanderia. A sinistra: l’aula laboratorio-ricamo, la stanza della Madre superiora, i servizi igienici, l’appartamento delle suore costituito dalla clausura, dal guardaroba e dalla lavanderia; il salotto, la cappella. Tra il salotto e la cappella un corridoio dava accesso alla clausura. Si saliva al secondo piano tramite una scalinata a tenaglia che portava su un ballatoio donde si accedeva a due reparti, quello delle donne anziane e quello delle orfane. Vi erano dormitori, lavanderia, servizi igienici e terrazzo, una sala-laboratorio-ricamo, dove si svolgevano corsi per maglieria e si lavorava maglieria, stanza adibita a scuola elementare, stanza suora, servizi igienici. Tra il reparto anziane e quello delle orfane c’era un soggiorno. Il terzo piano era costituito da un portichetto, da ambienti sopraelevati parzialmente che monsignor Pagano volle attrezzare ad ospedale, da un terrazzo. Una porta s’apriva sulla stradina Salita Portella S. Andrea, alle spalle dell’edificio. Ogni reparto aveva il suo refettorio.Nell’ampio cortile del primo piano si ergeva la fontana, il cui costruttore fu il cementista De Bellis Antonio. Essa aveva la forma di una coppa, in mezzo uno zampillo grande a fiore che arrivava fino al terrazzo e scendeva in forma di ombrello, quattro altri getti lo seguivano, senza raggiungerlo, piegandosi verso di esso. Altri cinquantadue intorno a tutto cerchio si elevavano e si piegavano dentro la vasca. Quand’era in funzione, e al buio, ed era illuminata, la fontana era spettacolare. Presso di essa sono state scattate tante foto a ricordo di ospiti e visitatori.Per collegare la “Casa” alla chiesa di S. Angelo nel 1938 si costruì un corridoio interno, passaggio necessario per rendere più facilmente raggiungibili asilo e laboratorio, evitando di percorrere una strada esterna al paese quasi impraticabile d’inverno. Nel 1931 la “Casa” fu riconosciuta Ente morale con decreto firmato dal re Vittorio Emanuele III e da Benito Mussolini e dal 1978 Istituto pubblico di assistenza e beneficenza (Ipab). Nel corso degli anni si sono realizzati lavori per migliorarla nelle strutture e nei servizi. Ma quelli che le hanno dato un volto nuovo furono i lavori realizzati tra il 1977 ed il 1981 e successivi secondo il progetto dell’architetto Gino Marchitelli. Era presidente il grand’ufficiale Michele Perrone e superiora suor Stefania Martorelli. Chiuse tutte le altre istituzioni, la “Casa” fu trasformata in “Casa di riposo per anziani” con camere singole a due o tre letti con servizio igienico, una cucina con annesse dispense, l’ascensore monta-lettighe, l’appartamento suore, i locali per Presidenza, Consiglio di amministrazione e Segreteria. Nel cortile si elevò un corpo di fabbrica a tre livelli: al primo piano si costruì la cappella, sopra, due soggiorni-pranzo per gli anziani e le anziane, dotati di cucinino scaldavivande e office. Si elevò un piccolo corpo di fabbrica per allocare il macchinario dell’ascensore. Su di esso fu collocata la statua di Gesù, alta 4 metri, opera dello scultore romano Giulio Tamassy.Alla “Casa” si accede attraverso una strada che viene dal paese, Via Spinelle, e da un’altra che viene da S. Rocco, intitolata a monsignor Donato Pagano. La strada in cui sorge l’edificio è denominata “Via dell’Ospizio”; l’ampio spiazzale antistante la “Casa” è intitolato ai benefattori. Il numero civico è il n. 16. L’Opera, che ha saputo adeguarsi ai tempi e rispondere alle istanze sociali, ha dato una svolta significativa al concetto dell’amore e della solitudine. Qui il dolore è divenuto fecondo di bene: sono stati educati tanti bambini e tante orfane, formate generazioni di giovani, ospitati profughi di guerra, ospitati ed assistiti malati ed anziani, hanno trovato asilo e calore umano poveri e bisognosi. La preziosa opera delle suore Apostole del S. Cuore continua in quella delle suore Orsoline dell’Immacolata: essa ha assicurato e moltiplicato i frutti della fede e della carità.La “Casa”, incastonata come una perla nel verde della montagna su cui sorge il paese, ad oltre 700 mt. di altitudine, e di fronte ad un panorama suggestivo di valli e verdi colline irpine che si rincorrono alla luce di albe e tramonti di spettacolare bellezza, costituisce la residenza ideale per anziani e bisognosi di cure collocandosi tra le migliori case di riposo esistenti in Puglia per la salubrità del clima, per l’amenità del sito, la qualità e l’efficienza delle strutture e dei servizi. I santagatesi, del cui patrimonio storico, spirituale ed affettivo è parte, l’hanno sostenuta sempre. Essa ha dato e dà lavoro, prestigio e onore al paese. (Per approfondimenti vd. il mio volume La Casa del S. Cuore di Gesù in Sant’Agata di Puglia da mons. Donato Pagano a Michele Perrone, C. Grenzi Editore, Foggia 2010).