(23/12/2020)
IL NATALE DELL’INFANZIA


di Mario De Capraris

Nel Natale dell’infanzia si faceva il presepio con il muschio che si portava dalla campagna, c’erano i pupazzi di terracotta, la casetta di cartone, la carta stagnola per il ruscello, li restìnnele (steli di vegetazione) per gli alberi. I pupazzi, molti avevano gli arti attaccati con la colla perché la notte il gatto di casa ci passava sopra e li rompeva, e rappresentavano i personaggi più strani, tipo il cuoco che portava un uovo nel tegamino. E la festa era tutta lì, con “Tu scendi dalle stelle” cantata davanti al presepio.

Poi si andava a Sant’Angelo per il “Mattutino” e lì i pupazzi erano enormi e ci si stupiva che li tenessero in chiesa, che invece per la loro bellezza meritavano di stare in piazza. Nella chiesa ghiacciata (sulle scale dell’ingresso ricordo la neve) e nell’ora in cui si era fatta un’alzataccia, non si osservava altro che i pupazzi e quasi si sarebbe voluto che si muovessero.

Per il resto Natale non si discostava dagli altri giorni, non c’erano regali, non si facevano pranzi speciali, non ci si metteva il vestito buono, non si andava a fare gli auguri nemmeno alla nonna, non c’era la pressione del consumismo, però si andava in chiesa.

Certi anni capitava che si aveva in casa già il maiale squartato appeso per le zampe posteriori al soffitto. Si era già assistito alla scena truculenta dell’uccisione, con quelli che cercavano di tenere fermo l’animale, chi una zampa, chi un’orecchia, chi addirittura la coda. E quell’altro che affondava il coltellaccio nella gola mentre per raccogliere il sangue ci mettevano sotto il secchio. Mezzi parenti e vicini di casa entravano in casa di notte, tutti avvolti nei loro tabarri e col cappello calato in testa, come se avessero un conto in sospeso e dicessero:

“Dove sta il delinquente?”

E incutevano un certo timore vederli così acconciati che sembravano banditi e con le mani sotto il pastrano come se nascondessero un’arma, tanto più che andavano con passo deciso verso la grotta senza nemmeno chiedere il permesso. Figuriamoci il povero maiale appena li vedeva. Quello, ingenuo, stava sul più bello dei sogni, quando accesa la luce, gli si presentava dinanzi la vista di quel malfamato manipolo di banditi. Il poverino, che era già tanto che non era morto d’infarto, non gli rimaneva altro da fare che urlare come un ossesso. Aveva capito che stavano per fargli la festa e si sentiva tradito. Ma come? fino alla sera prima l’avevano trattato con tutti i riguardi presentandogli come sempre un lauto pranzo, e adesso che si apprestavano a fare? 

E il bello era che dopo il fattaccio non sopravveniva nessun pentimento, come d’altronde non ce n’era per nessun altro animale di casa quando lo si ammazzava. Ma per il maiale non c’era in modo particolare perché era rozzo scorbutico e sporco come solo sa essere un maiale.