(15/11/2020) LA CITTĄ lettera al cugino di Mario De Capraris | ||
Il 1° ottobre 1963, dopo un viaggio di un’oretta, con il pulman arrivai a Foggia, e in via Mazzini presi alloggio in una pensione con altri ragazzi.Ero da quasi un mese in città quando Rocco mi disse che da casa aspettavano mie notizie (si vede che lui era già tornato al paese, ma per me era sottinteso che sarei dovuto tornare a Natale) e invece io avevo già spedito una lettera, solo che, si vede, non avevo messo né indirizzo né paese di destinazione, e il fatto che ero solo e la mia famiglia era lontana e non sapesse niente di me mi diede un tale sconforto. Che tempi. Tra Foggia e Sant’Agata si comunicava con le lettere.Avendo cambiato abitudini, non vedevo più in televisione Rin Tin Tin, La Nonna del Corsaro Nero, Ivanhoe. Né i fumetti: Blek Macigno col professor Occultis e i trappers, Kit Carson, Nembo Kid/Clark Kent.I primi giorni si passavano le sere nella Standa dove si andava così, giusto per guardare la mercanzia. Erano i primi anni Sessanta e la Standa era un richiamo irresistibile. Per strada c’era l’ambulante che metteva i dischi. Sentivamo “Quando vedrai la mia ragazza” di Little Tony. Avevamo un vicino di pensione che aveva il giradischi e metteva certi dischi fantastici. Le canzoni erano Diana di Paul Anka, Only You dei Platters, Let’s Twist Again di Chubby Checker, Smoke Gets In Your Eyes, Earth Angel. Sentendo le parole di quest’ultima canzone, il mio compagno di stanza mi chiedeva “Che significa ‘Uiliubimain’?” “Che ne so” dicevo io che a malapena masticavo l’italiano.La mattina, nell’attesa dell’apertura della scuola, ci faceva sognare la vista della spider rossa decappottabile con cui arrivava lo studente brillantinato con tanto di ciuffo sulla fronte alla Elvis del vicino liceo Scientifico. Quando poi anche al Geometra “Eugenio Masi” venne il giorno del conferimento dei diplomi di merito, nello spazio al primo piano dove erano riunite le famiglie, Rocco mi disse: “Adesso che vai a ritirare la pergamena, non ti emozionare” e poi fu proprio lui ad emozionarsi perché, appena gli diedero in mano il rotolo, questo gli sfuggì e lo raccolse per terra. La domenica, certe volte, andavamo al cinema Gesù e Maria, affianco all’omonima chiesa. Preferivamo la galleria perché giù in platea arrivavano i mozziconi di sigarette e gli sputi, che ci voleva l’ombrello per ripararsi. Era un cinema affollato di ragazzi, i quali stavano buoni e quieti per tutta la durata del film, sempre un western, tranne quando arrivava la carica della cavalleria contro gli indiani. Allora al primo squillo di tromba si scatenava la caciara. Era una zuffa collettiva. La carica della cavalleria li eccitava. Non si capiva più niente. Tanto che una volta uno di noi uscì con il cappotto bucato da una sigaretta. Ma era già tanto uscirne interi.E, come previsto, al paese tornai a Natale. In città lasciavo una camera ben arredata, un materasso confortevole, la stanza del bagno con sanitari bianchi; al paese trovavo l’odore del letame nella stalla, il materasso con “li fuòrrele”, il gabinetto che era tutto lì, nel buco alla parete a metà della scalinata per la cantina; eppure come era dolce il ritorno a casa. In città, mancava poco alla fine dell’anno scolastico, era maggio, un amico ci invitò una sera a casa sua, alla periferia della città, dove c’era una festa. L’amico aveva i fratelli più grandi che avevano invitato le coppie – allora si ballava in casa, non c’erano ancora le discoteche. Quando arrivammo trovammo gente scatenata che non ballava il solito slow in coppia, che eravamo abituati a vedere, ma ognuno si agitava per conto suo. Ci dissero che si trattava del nuovo ballo, il twist e che consisteva nello strofinarsi i fianchi con un asciugamano immaginario e spegnere un mozzicone di sigaretta per terra. Le donne avevano il maglione alla dolce vita, la pettinatura con i capelli gonfi come Mina, la gonna a palloncino alla moda. Alcuni anni dopo Rocco andò a casa a Foggia a trovare i miei vecchi, che nel frattempo vi si erano trasferiti - io ero via ormai da tempo - e tra i miei libri si prese quello di Topografia. Quando lo seppi fui contento che qualcuno andasse a rivedersi una materia che avevo tanto amato. Chissà perché era interessato a qualcosa del mestiere che avevo lasciato. Non gli chiesi mai indietro il libro. Semplicemente mi faceva piacere che lo tenesse.In tempi più recenti lo andai a cercare in campagna, dove trovai la mamma, ormai molto anziana. Guardavo la masseria, la campagna, e ricordai quando da ragazzo, tra cugini, vi facemmo la scampagnata e a tavola mangiammo la pasta con il formaggio che filava, e su in alto alla parete era appeso il fucile. | ||