Nicola, che viveva da solo in campagna, quando gli regalarono un cane non stava più nei panni per la contentezza. Finalmente avrebbe avuto compagnia. Per l’occasione ammazzò uno dei suoi pochi conigli e presentò al cane un pezzo di carne che l’animale mangiò con voracità, tanto che Nicola ne apprezzò l’appetito, segno che il cane era in buona salute. Solo che però i giorni successivi che gli presentò gli avanzi della tavola, l’animale non ebbe la stessa reazione, anzi guardò in faccia il padrone come per dire:
“Beh, e che è sta schifezza? L’avanze me rèje? Chire te re mange tu.”
Nicola comunque pensò che forse non stava bene e aveva bisogno di mangiare, così ammazzò un altro dei suoi pochi conigli e ne presentò di nuovo un pezzo al cane, il quale sfoderò l’appetito e la voracità ben noti e in men che non si dica divorò tutto e per poco si masticava pure l’osso. E siccome si vedeva che stava bene, il padrone il giorno dopo gli presentò i soliti avanzi di cibo. Al che quello, come previsto, fece la solita faccia e anzi stavolta si girò e ci fece la pipì sopra.
Allora Nicola pensò che la bestia aveva bisogno di una lezione. Tolse gli avanzi e presentò le cipolle.
Il cane alla vista delle cipolle lo guardò ancora più fisso negli occhi, ancora più sbalordito, come per dire:
“Re cceporre? Te fusse mbacciute?”
Così, uno di fronte all’altro, all’ombra del mandorlo davanti la masseria - era estate - Nicola mangiava il pranzo e il cane stava davanti alle cipolle senza toccarle. Si trovò a passare compare Giovanni che a vedere quello spettacolo disse:
“Cumba Necò, cum’é? A lu chène, ra mangè, le réje re cceporre?”
“Ru ssèpe irre pecché” disse Nicola.
Insomma il cane non toccò le cipolle il primo giorno, il secondo giorno, il terzo. Il quarto giorno cominciò a pensare che forse le cipolle non dovevano avere un gusto così cattivo. Allora ne assaggiò una e trovò che addirittura era gustosa, anzi squisita, tanto che si spappolò in un niente tutte le cipolle con la voracità e il gusto che ben conosceva il suo padrone. Quest’ultimo, che aveva assistito alla scena, allora disse al cane:
“Eje viste che signifeca la necessità? che fèce apprezzè quére che cu la hrascia se desprèzza.”
Da allora il cane come agitava la coda quando gli venivano presentati gli avanzi.