Il cibo è gusto, arte, tradizione, cultura; mette il buonumore e contribuisce a mantenere salda l'identità di un territorio che trae dalla sua terra una delle sue principali fonti di economia e di turismo.
La Puglia è vasta e generosa e così la sua cucina si differenzia, a seconda se ti fermi a mangiare in un posto di mare, anziché di montagna.
Quando si parla di montagna e di cibo, il mio pensiero corre inevitabilmente a Sant'Agata di Puglia, mio paese di nascita, dove la cucina è molto apprezzata perché semplice e richiama antichi sapori di una volta. Sant'Agata è frequentata da turisti domenicali che dai paesi limitrofi fanno decine di chilometri in macchina per ossigenarsi i polmoni di "aria fina" del nostro incantevole paese a 800 metri di altezza e farsi na bòna mangèta a base di cibi tutti genuini.
La nostra cucina, grazie alla sua semplicità, riesce a conquistare anche i palati più sensibili, ricorda i sapori antichi di gente umile e povera che faceva del cibo, non solo una prima necessità, ma lo trasformava in una sorta di veicolo per incrementare l’attaccamento alla propria comunità, alla propria famiglia, alla propria terra.
Un fratello di mio nonno, zio Vito, venne dagli Stati Uniti col solo desiderio di "pènecuótt"; il pancotto era appunto il mangiare dei poveri, fatto di avanzi di pane e verdure raccolte dal cafóne, di ritorno dalla campagna.
I piatti locali tipici santagatesi sono ancora oggi presenti nelle usanze a tavola e non solo nelle sagre annuali e ce ne sono di svariati tipi che vanno dagli antipasti ai dolci.
I prodotti che non possono mancare a tavola per il santagatese è il pane.
Il pane.
Nella gastronomia locale un cardine fondamentale è il pane, ru ppène, delle panelle dalla forma particolare, soffici e friabili che ricordano il panettone a Natale. Il santagatese senza il pane non sa proprio mangiare.
I condimenti.
Origano (aréhena), olio buono nostrano, acìte (aceto di vino), peperoncino forte (piccante).
La verdura. La verdura è un altro elemento predominante della cucina santagatese. Cecòria, jéta, marasciùne, tàrre, spógne, catalògna, scaròla, rèpe, vruòcchele, cucuzzièrre trovano sempre posto a tavola. La verdura coltivata o, ancora meglio, quella selvatica costituiva spesso il piatto giornaliero del santagatese che la mangiava "a menestra", con la pasta fatta in casa o nel pancotto (pènecuótte).
La pasta.
La pasta, fatta in casa dalle nostre donne, è un'altra specialità delle mie parti ed è un'arte. Impastano a mano sulla spianatora (lu tumbàgne) e ne escono: fusìrre ( fusilli), aricchietèlle (orecchiette), tagliariérre (tagliatelle), làhene (lasagne), strascenète (pasta appiattita), cecatiérre (pasta cavata con un dito solo), truócchele (troccoli), e poi ancora "stuhalètt", "frìvele", lahanèrre" ecc.. Quella ormai quasi scomparsa è la pasta fatta con farina di "grano arso", ottenutadal grano scampato alla falce dei mietitori, che dopo la bruciatura delle stoppie, battevano a terra e raccoglievano le spighe rimaste.
I secondi
La fanno da padrone piatti a base di maiale e d'agnello, contornati di lampascioni, funghi cardoncelli, asparagi selvatici. Immancabili sono: salzìcchie, chèpecuórre, presùtte, chèsecavàrre, recòtta fresca e recòtta tosta, mozzarella e burrate.
I dolci.
Scaldatelli, taralli i al vino, pizza con la ricotta, pastarelle ripiene di marmellata, péttole, "susumelli" a Natale e "pupe" o pastiere a Pasqua.
Vino.
Il vino santagatese, altrimenti detto " lu gnòstre " è solo "nero" (rosso). I più rinomati sono il vino delle "Cesìne" , della "Bastìa", della "Liscia", di "Ghizzoli" ecc..
V'aspettème a Sand'Àheta e.... Buón'appetìte!
Maestrocastello
(Molte foto sono prese da “Santagatesi nel Mondo”)