Domenica scorsa, 24 maggio, nel cielo di Tricesimo (provincia di Udine) il sole splendeva libero dalle nuvole che l’avevano coperto fino al giorno prima. Al Tempietto dei Caduti i numerosi presenti, giunti da ogni parte d’Italia – invitati a ritirare la medaglia del loro congiunto morto nella prima guerra mondiale – erano radunati ai piedi della scalinata alla sommità della quale stava per svolgersi la cerimonia commemorativa in occasione del centenario dell’inizio della Grande Guerra. Il Tempietto riportava le scritte incise sul marmo relative alla visita fatta a suo tempo del re Vittorio Emanuele III. Dopo l’inno nazionale, tromba e successivo discorso del Sindaco, si è passati alla consegna delle medaglie.
E così, quando è venuto il mio turno, mentre salivo le scale per andare a ricevere la medaglia dalle mani del Sindaco e lo speaker declamava i dati del mio congiunto caduto (De Capraris Giuseppe, nato a Sant’Agata di Puglia, capitano, eccetera eccetera, colpito dal fuoco nemico, ricoverato nell’ospedaletto da campo, morto il 26 dicembre 1915) io mentalmente pensavo:
“Sì sì, è proprio lui, è mio zio, zio Peppino, che viene ricordato addirittura qui nel Friuli. Chi l’avrebbe detto? Lui che temeva di essere dimenticato! Sono passati cento anni, ma il suo ricordo è ancora vivo. Venne a morire pochi chilometri più a Nord, nell’inferno carsico del Monte San Michele, il posto dove avvennero i primi combattimenti, quelli più feroci, quando ancora gli ufficiali erano alla testa dei loro uomini per dare l’esempio e solo di lì a poco il Comando Supremo ordinò che non stessero più in prima linea.”
Per il resto è stato naturale raccontare l’un l’altro, tra i convenuti, della vita del parente caduto nella guerra. Di zio Peppino ho ripetuto soltanto quello di cui sono venuto a conoscenza dai racconti dei familiari, perché in effetti non l’ho conosciuto. Ma ciò che risaltava nella cerimonia era che sembrava che non fossero passati cento anni, talmente il ricordo era vivo e l’affetto per il congiunto sincero.